II recenti avvenimenti
cubani hanno riproposto nuovamente il tema della natura del regime castrista
e quello relativo al tipo di risposta da dare alle manovre USA nei confronti
dell'isola caraibica. Un ampio - e a tratti aspro - dibattito sta interessando
politici, intellettuali, filosofi, militanti di base, giornalisti, divisi
sul tipo di atteggiamento da tenere in un contesto di crescente aggressività
statunitense e di riaffermazione militare delle politiche neocoloniali.
In molti ritengono che sia arrivata l'ora di Cuba, l'ora di saldare i
conti cioè con questa piccola isola che ha avuto l'ardire di rompere
i ponti con gli USA e di resistere per più di quarant'anni ad invasioni
armate, a sabotaggi e attentati, al blocco economico, e a quant'altro
la potenza nordamericana ha messo in campo per sconfiggere il regime castrista.
Il tema della solidarietà viene ancora una volta fortemente sollevato
da quanti, avversando la politica guerrafondaia dell'amministrazione Bush,
vogliono riaffermare la loro vicinanza agli ideali della rivoluzione cubana.
A questa richiesta di solidarietà non vogliamo sottrarci, anche
se è importante sottolineare alcuni distinguo. Proprio perché
vogliamo riaffermare la nostra vicinanza agli ideali della rivoluzione
cubana non possiamo dimenticare che gli anarchici e gli anarcosindacalisti
cubani hanno rappresentato per lungo tempo la principale componente del
movimento operaio e contadino dell'isola, dando un significativo contributo
di sangue nella lotta contro regimi corrotti, dittature feroci, protettorati
statunitensi. Alla caduta di Batista, cui concorse non solo l'azione guerrigliera
dei 'barbudos' di Castro, ma anche il clima di intensa agitazione sociale
promossa dagli anarchici e dalle altre correnti della sinistra, le promesse
di eguaglianza e giustizia sociale vennero a stemperarsi a fronte dell'affermazione
progressiva del modello sovietico del 'socialismo di stato'. Modello che
troverà negli anarchici, portatori di una progettualità
autogestionaria di tipo sindacale e consigliare, dei fieri oppositori.
Il confronto/scontro all'interno del movimento sindacale tra comunisti
ed anarchici, iniziato già a gennaio del 1959, porterà all'espulsione
degli anarcosindacalisti non solo dalla direzione sindacale ma anche dagli
stessi sindacati. Questo processo, che corre parallelamente all'adozione
di un progetto politico statalista sedicente comunista da parte della
dirigenza castristra, si accompagna alla progressiva riduzione della libertà
di organizzazione, di espressione, di stampa. La chiusura de 'El Libertario'-
organo della Federazione Libertaria di Cuba - e di 'Solidaridad Gastronomica'
- organo mensile del sindacato dei lavoratori della ristorazione, ultima
espressione anarcosindacalista ancora operante - simbolizza la fine del
breve periodo di apertura rivoluzionaria. Da questo momento gli anarchici
che rimangono in attività sono costretti alla clandestinità
oppure all'esilio sotto il peso dell'accusa infamante di 'controrivoluzionari'
( Blas Roca, leader del Partito Comunista Cubano, sostenitore a più
riprese di Batista, ebbe a dichiarare: 'Oggi a Cuba abbiamo anarcosindacalisti
che pubblicano 'Dichiarazioni di Principi' che sono incredibilmente utili
per la controrivoluzione... essi aiutano la controrivoluzione da posizioni
estremiste con fraseologia ed argomenti che sembrano di sinistra'). Accusa
che , è bene ricordare, venne ripresa a livello internazionale
da quanti, offuscati dall'esempio dato dal popolo cubano e dalle ricadute
che questa affermazione avrebbe potuto avere per lo sviluppo della lotta
rivoluzionaria, non coglievano l'avvitarsi della direzione guerrigliera
in dinamiche autoritarie e burocratiche.
Sulla base di queste
brevi note appare evidente che la nostra solidarietà non possa
essere concepita in termini generici ad una mitica Cuba ed ad una altrettanto
mitica rivoluzione cubana. La nostra solidarietà non può
riguardare sicuramente un regime che si è reso colpevole della
repressione e della liquidazione di tutte le tendenze rivoluzionarie ad
esso incompatibili, anarchiche in primo luogo. Repressione e liquidazione
che, tra l'altro, non si sono fermate nei primi anni dell'affermazione
del potere castrista ma sono tuttora operanti. Nel 1993 era, ad esempio,
giunta notizia della repressione che aveva colpito , nei primi anni '80,
un gruppo di contadini dal nome significativo di 'Emiliano Zapata' con
l'accusa di aver organizzato un sindacato e di avere con ciò sabotato
la produzione. Dei venti perseguiti, cinque vennero condannati a morte.
Una donna, Caridad Pavon , morì in prigione, non riuscendo a sopravvivere
alle torture inflittale a Villa Marista (luogo abilitato dal Dipartimento
della Sicurezza dello Stato per gli 'interrogatori'). Di un altro, Angel
Donato Martinez, si seppe solo nel 1993 il nome del luogo di detenzione;
degli altri più nulla. E la storia di questo gruppo rappresenta
solo un frammento della continua lotta degli anarchici cubani per 'Tierra
y Libertad'.
Ed è loro,
a quanti sono i veri rivoluzionari e i reali protagonisti della vita cubana,
nei campi, nelle fabbriche, nei quartieri, nelle scuole, nelle università,
a quanti lavorano per una reale trasformazione politica e sociale in una
prospettiva antiautoritaria, autogestionaria ed egualitaria, contro ogni
possibile aiuto del governo statunitense e delle organizzazioni mafiose
dell'esilio di Miami, che dobbiamo rivolgere tutta la nostra solidarietà.
Dobbiamo rendere visibile ciò che Castro tende ad occultare e cioè
l'esistenza di gruppi alternativi, anticapitalisti, anticonformisti, per
consentire la loro autodeterminazione e la loro emancipazione. Sono numerosi
infatti i segni di vitalità che provengono dall'isola: una vitalità
che si ritrova nei numerosi collettivi che si sono formati, nell'orgoglio
di quanti hanno vissuto nei fatti l'internazionalismo, di quanti si sono
impegnati nella costruzione di una società più giusta, di
quanti non sono disposti a passare armi e bagagli al campo dei latifondisti
e dei trafficanti in esilio, del capitalismo nordamericano. Oggi, una
volta di più, il popolo cubano è minacciato dai grandi capitali
finanziari (dal Fondo Monetario fino ai piccoli capitali della Florida)
e dalle volontà espansioniste degli USA sotto l'egida della 'lotta
al terrorismo'. Dobbiamo impegnarci a fondo contro queste minacce senza
però dimenticare la natura dittatoriale e l'opportunismo del regime
castrista: il 'Giù le mani da Cuba!' che dobbiamo rivolgere agli
aggressori statunitensi non può accompagnarsi ad un 'Su le mani'
di arresa di fronte alla polizia di Castro. Per questo dobbiamo essere
chiari nel distinguere la nostra posizione da quella di quanti si schierano
di fatto a difesa del regime. Così come bisogna smascherare chi
blatera di democrazia e di diritti umani per preparare la strada all'intervento
nordamericano. La nostra solidarietà deve essere diretta al popolo
cubano, non a Castro. La nostra lotta deve essere diretta a spezzare un
blocco criminale che affama la popolazione e arricchisce le burocrazie.
La nostra mobilitazione contro ogni possibile intervento militare deve
essere immediata. Rimaniamo convinti che l'alternativa a Castro non possa
essere il capitalismo, bensì lo sviluppo creativo delle conquiste
rivoluzionarie fatte dal popolo e ossificate da una burocrazia estranea
ad ogni logica di libertà. Siamo convinti che la prosecuzione del
blocco e le minacce di intervento USA non facciano che alimentare le peggiori
tendenze del regime con la conseguenza che ogni aspirazione ad una società
più libera e più giusta viene assurdamente catalogata come
controrivoluzionaria, dando vita ad una spirale senza fine. Questa spirale
va rotta, il blocco va rotto, tutte le tendenze socialiste ed anarchiche
devono poter riprendere la loro azione, alla luce del sole, senza alcun
limite. Il popolo cubano deve poter sperare.
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