Il clima di
guerra 'duratura e permanente' in cui siamo stati immersi a partire dall'11
di settembre è diventato una costante del nostro vivere quotidiano,
con tutti gli annessi e connessi del caso ( manipolazione dell'informazione,
propaganda, falsità, repressione, contenimento psicologico, ecc.).
Gli esperti della guerra ad alta e bassa intensità sono all'opera
per restringere ovunque gli spazi di libertà politica e sindacale,
ora in modo palese, ora in modo occulto. La lotta al 'terrorismo' è
diventato il pretesto per sferrare un attacco determinante e determinato
a tutti i nodi di
crisi, a tutti gli ostacoli che stanno sulla strada degli interessi del
sistema di potere internazionale imperniato sul governo statunitense,
prima che altri soggetti acquisiscano una forza tale da mettere in discussione
tale supremazia.
Sul piano mondiale
la minaccia della guerra d'aggressione all'Irak, il massacro senza fine
in Medio Oriente, la crescita dell'impegno militare in Colombia (questo
paese è al terzo posto nel 'godimento' degli aiuti militari USA,
dopo Turchia ed Israele), la guerra afgana, continuano a tenere banco mentre altri
possibili teatri di conflitto si stanno aprendo.
L'euforia, la baldanza,
che avevano caratterizzato le 'magnifiche sorti progressive' della globalizzazione
economica, osannata dal neoliberismo imperante, si stanno progressivamente
sgonfiando in seguito alla fase recessiva attuale contraddistinta da contrazione
dei commerci, dalla limitazione
dei movimenti finanziari, da prudentissime stime di sviluppo.
Un ridimensionamento
che costringe le classi dirigenti a riavviare politiche di intervento
'pubblico', cioè statale, per far fronte sia alle necessità
delle politiche di guerra che ai processi di ristrutturazione. In questo
contesto il processo di globalizzazione economica spinto dalle multinazionali
e sostenuto dai loro organi di riferimento (WTO, FMI, ecc.), rallenta
la sua marcia, mentre si registra una forte ripresa delle politiche nazionali
o macroregionali, manifestatesi nella conduzione della guerra in Afganistan,
nel processo di costruzione europea, nel ridimensionamento del ruolo della
NATO e nello smarcarsi di Francia e Germania nei confronti della crisi
irakena. D'altronde ragionare di 'cose' come spesa pubblica con tutto
il suo corollario di priorità di interventi ed incentivi, non significa
altro che parlare di politica dei redditi, con tutto quello che ne consegue
in termini di rilancio necessario del ruolo degli Stati nazionali in un
contesto però ove la forza militare dello Stato nordamericano è
tale da farci intravedere una nuova fase del processo di globalizzazione:
quella incentrata su una sorta di politica imperiale che costringe tutti
gli altri Stati a un rapporto di subordinazione, ove coabitano pratiche
contemporaneamente di integrazione e di concorrenza, in uno scenario che
vede la guerra come esito inevitabile della crisi dei rapporti internazionali.
Il monito di Bush - o con noi o contro di noi - testimonia della volontà
USA di imporsi, sempre e comunque, in un contesto reso più complesso
dai processi di globalizzazione economica e dai suoi, a volte, inestricabili
intrecci. Intrecci che più di una volta, nel recente passato, hanno
condizionato lo sviluppo di tale volontà, ma che, dopo l'attacco
alle Twin Towers, non ne paiono più in grado.
Se infatti la globalizzazione
economica era diventata un grande sipario che nascondeva la continua ridefinizione
dei poteri e della loro gerarchia, l'11 settembre ha costretto alla sua
lacerazione disvelando la volontà di controllo totalitario del
globo da parte dei gruppi dirigenti statunitensi, il
cui comportamento non può e non deve essere soggetto ad alcun giudizio
(significativo a riguardo l'atteggiamento non solo nei confronti dell'istituzione
del tribunale internazionale sui crimini di guerra ma dell'intera ONU).
In questa situazione
il movimento che si è espresso contro la globalizzazione economica,
contro le multinazionali e i loro organi, è costretto a ridefinire
pratiche e obiettivi. In un contesto di guerra, non ci si può più
limitare alla contestazione degli organismi economici senza affrontare
cosa e chi li regge e quali politiche li muove. Occorre fare un salto,
dando consistenza politica e sociale alle proprie proposte, alla propria
rabbia, alla propria indignazione, riattualizzando le proposte rivoluzionarie
dirette all'abbattimento del potere politico ed economico e all'autogestione
generalizzata.
Nel clima di 'guerra
civile' che è stato artatamente creato per occultare responsabilità
e volontà reali, per scatenare gli uni contro gli altri, lavoratori
e popoli, giovani e movimenti, occorre vederci chiaro e individuare pericoli
e trappole. Come quello, ben presente, di rinchiudersi su base regionale
o nazionale, etnica o religiosa, come tentativo di chiamarsi 'fuori',
ridando fiato alle logiche nazionaliste.Occorre invece ridare fiato all'internazionalismo,
quello che ha animato questa stagione di lotte, quello che ha avuto nelle
componenti sociali più radicali e libertarie, l'anima più
lucida e determinata.
Il relazionarsi dei
movimenti ovunque essi si manifestino, il dialogo tra le diverse culture
politiche ed ideologiche che li animano, il confronto a tutto campo, sono
e debbono essere gli strumenti di una politica che vuole opporsi alla
barbarie della guerra, che vuole affossare la guerra e tutto il sistema che la genera.
Ma che per essere tale non deve cadere nell'ennesima illusione riformista,
sostanzialmente socialdemocratica, che a Porto Alegre ha celebrato il
suo ultimo rito.
Non ha senso infatti
un internazionalismo che non abbia una base ben solida costituita dall'impegno
di lotta contro il 'proprio' Stato, contro il 'proprio' sistema di potere;
ed è, in effetti, su questo terreno che si può misurare
l'effettiva volontà di trasformazione sociale che anima le diverse
anime di movimento. Nella fase che stiamo vivendo, caratterizzata, come
ben vediamo, da un'accelerazione delle politiche di taglio e liquidazione
delle 'garanzie' sociali, di contenimento e di selezione sociale, dipenderà
da quanto sapremo mettere in campo , come proposta, come intelligenza,
come energia, lo sviluppo e l'orientamento del movimento. Un movimento
che dovrà essere in grado di 'bypassare' le forche caudine di un'opposizione
di facciata per aggregare intorno a sé quanti non sono più
disponibili a subire la violenza quotidiana del sistema di potere, quanti
credono veramente che un altro
mondo non solo è possibile, ma addirittura indispensabile.
In questa direzione
gli anarchici stanno dando il proprio contributo di attività e
di incisività, praticamente in ogni parte del mondo. Sono ancora
evidenti gli effetti della mobilitazione di Seattle , che ha visto una
partecipazione anarchica determinata ed efficace, segno della ripresa
libertaria negli USA. In Russia la criminalizzazione e la repressione
non impediscono agli anarchici di impegnarsi a fondo contro un regime
definito apertamente fascista. In America Latina è un continuo
fiorire di gruppi, giornali, mobilitazioni , che stanno mettendo all'ordine
del giorno il problema del coordinamento delle sempre più numerose
iniziative sviluppate su scala nazionale, soprattutto in Argentina, Cile,
Venezuela, Uruguay, Brasile. In Europa , pur nella complessità
del movimento, anarchico ed anarcosindacalista, si sono avute più
occasioni che gli hanno dato una significativa visibilità di piazza
(a Lione come ad Amsterdam, a Genova come a Roma, a Parigi come a Londra,
a Praga come ad Atene e Siviglia) . E altri segnali provengono dalla Turchia,
dalla Nigeria, dal Senegal, dal Sudafrica , dal Libano, dall'Australia.
A questo punto diventa
sempre più indilazionabile acquisire una dimensione internazionalista
nelle pratiche locali, una dimensione che l'Internazionale di Federazioni
Anarchiche intende promuovere nel rafforzamento dei legami tra le organizzazioni
aderenti e nella sollecitazione ad un'iniziativa congiunta con l'insieme
del movimento anarchico, che tenga conto delle ricchezze e delle particolarità
di ogni singola realtà e che sia in grado di mettere a confronto,
nel riconoscimento reciproco, percorsi ed opzioni che hanno radici ed
finalità comuni.
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